Articolo tratto da magazinepadiglioneitalia
I mammiferi esistono sulla terra da quasi 220 milioni di anni e la selezione naturale ha avuto quindi tutto il tempo per consentire che le loro ghiandole mammarie sviluppassero la produzione di un liquido altamente specializzato ed individualizzato, nutritivo e allo stesso tempo di spiccato valore biologico.
Il latte materno è vivo (contiene cellule materne), inimitabile nella sua capacità di difendere il bambino, specie-specifico e quindi molto diverso dai latti di mucca o di asina o di capra comunemente proposti per sostituirlo. E’ liquido biologico a spiccata biodiversità, variando di composizione non solo in base alla dieta materna, ma anche in base ad altre variabili, in particolare alla durata della gravidanza. In questo modo i prematuri (che rappresentano il 6-10% di tutti i nati) hanno a disposizione un latte materno più ricco di proteine, particolarmente adatto alle loro peculiari esigenze nutrizionali.
Per tutti questi motivi il latte umano rappresenta per l’Organizzazione Mondiale della Sanità e per l’UNICEF il riferimento nutrizionale principe fino al sesto mese di vita compiuto quando si aggiungeranno gli alimenti semi-solidi e solidi tipici dello svezzamento e più in generale dell’alimentazione dell’adulto.
Nel XX secolo, una serie di fattori quali la disponibilità di latti artificiali ormai igienicamente adeguati, alcuni sostanziali cambiamenti socio-culturali (come il massiccio ingresso delle donne nel mondo del lavoro) e un’erronea convinzione che il latte artificiale fosse vantaggioso per le donne, hanno limitato il fenomeno dell’allattamento al seno, con una rapidità, che non si era mai verificata in precedenza nella storia dell’umanità.
Una serie di studi scientifici pubblicati negli ultimi 40 anni ha tuttavia sottolineato come la sostituzione di un’alimentazione al seno con una artificiale al biberon riduca in realtà la salute materno-infantile e aumenti i costi sanitari per curare una popolazione meno sana.
Il bambino risulta meno protetto dalle infezioni e dalle allergie, più soggetto alla morte in culla, a certi tumori come linfomi e leucemie, all’obesità, meno brillante nel suo sviluppo intellettivo e nelle sue performance scolastiche. Dal canto suo la madre che non allatta vede aumentare il rischio di cancro al seno ed alle ovaie.
Si comprende bene quindi come le Agenzie internazionali che si occupano di salute quali OMS ed UNICEF, i governi nazionali e regionali, accreditate società scientifiche di nutrizione e di pediatria (in Europa l’ESPGHAN, negli USA l’American Academy of Pediatrics), siano intervenuti decisamente in particolare negli ultimi 20 anni per un recupero dell’allattamento al seno. I dati statistici documentano come questi interventi siano stati efficaci e che l’allattamento al seno sia in recupero a livello internazionale, pur nell’ambito di una grossa disomogeneità fra paesi e regioni diverse.
Questa recente parabola sociale e nutrizionale ci porta a ritenere come il latte materno rientri a pieno diritto nell’elenco degli alimenti la cui produzione va preservata nel futuro sia a livello individuale (sostegno e incoraggiamento alla donna che allatta per contrastare l’abbandono della pratica), che a livello della società (protezione legislativa).
E’ affascinante considerare come il latte materno sia vero e proprio slow food, il primo che l’essere umano incontra nel suo lungo percorso alimentare. Veicolando nutrienti e sapori della dieta materna, l’allattamento al seno implica una rilevante esperienza di educazione del gusto già prima della differenziazione alimentare tipica dello svezzamento.
In un mondo in cui le risorse alimentari vanno rispettate, il latte materno rappresenta l’alimento sostenibile per eccellenza, consumato dal bambino proprio sul luogo di produzione (la mammella), in equilibrio con l’ecosistema. Il ricorso al latte artificiale come alternativa al latte umano offre un alimento di qualità inferiore, con maggior impiego di risorse ambientali dall’allevamento di mucche da latte, allo sfruttamento in eccesso di pascoli, ai processi di inscatolamento o imbottigliamento del prodotto in polvere o liquido. La produzione di latte da parte della madre vede invece solo leggermente aumentati i suoi bisogni nutrizionali per far fronte alla lattazione. L’efficienza di produzione è quindi la massima possibile, col minor spreco.
Le conoscenze, le competenze alla base dell’allattamento materno meritano di essere quindi mantenute nel tempo, trasmesse attraverso le generazioni. L’allattamento al seno è patrimonio nutrizionale da salvaguardare. Fondamentale è quindi il ruolo dell’educazione all’allattamento al seno nella società, nella scuola, con i mass-media. Il modello culturale, che ispira l’allattamento al seno e il rapporto intimo fra madre e bambino porta in sé valori di tolleranza, variabilità-flessibilità, rispetto, interazione fra individui.
In sintesi, il latte materno è per il neonato e il bambino l’alimento normale e naturale, sano, universalmente accessibile. Il suo consumo è transculturale e accomuna nel globo individui appartenenti a culture e società molto diverse fra loro. Dando all’individuo le stesse opportunità nutrizionali e di salute, rappresenta una forma di alimentazione equa, un passo significativo nella lotta globale sia alla malnutrizione per difetto che a quella per eccesso.
Spetta ora anche all’EXPO 2015 il compito di trasmettere come precisa eredità concettuale per le future generazioni il messaggio che l’allattamento al seno non solo rappresenta una norma naturale, ma anche un intervento globale di sostenibilità, ecocompatibilità, equità.